SALUTE: CONSIGLI UTILI

"Pancia gonfia"

Cos'è?

La pancia gonfia è un sintomo tipico di numerose malattie o disturbi dell'apparato digerente. Si tratta di una spiacevole sensazione di eccessiva tensione addominale, espressione di un accumulo gassoso nello stomaco e nell'intestino.
La pancia gonfia - spesse volte riconosciuta con il termine meteorismo - è in genere accompagnata da alterazioni della frequenza di evacuazione (stipsi o diarrea), crampi addominali, flatulenza ed eruttazione.
Spesso, la pancia gonfia costituisce un sintomo passeggero, causato per esempio da un pasto troppo abbondante o consumato voracemente, oppure da un aumento di peso. Atre volte, invece, il gonfiore addominale è un sintomo di fenomeni fisiologici, quali sindrome premestruale e menopausa. In altri casi ancora, la pancia gonfia nasconde patologie più importanti, quali: appendicite, cancro al colon e all'ovaio, calcoli alla cistifellea, fibrosi cistica, gastroenterite virale/batterica, intolleranze alimentari (es. celiachia), sindrome dell'intestino irritabile ecc.

Rimedi naturali

Carbone vegetale

ll carbone, in generale, ha proprietà adsorbenti che lo rendono capace di trattenere i gas intestinali; inoltre facilita l'eliminazione batterica che provoca la fermentazione. Per i soggetti che presentano solamente una forma di meteorismo causata da un'alimentazione scorretta, il carbone dev'essere assunto dopo i pasti e sarebbe buona regola assumere fermenti lattici in concomitanza al carbone per favorire il ripristino della flora intestinale, di conseguenza per combattere il meteorismo.

Finocchio e anice

Finocchio (Foeniculum vulgare) e anice (Pimpinella anisum): sono droghe carminative che diminuiscono il gonfiore addominale grazie a molecole capaci di limitare la fermentazione anaerobia (in assenza di ossigeno) operata dalla flora intestinale. Il finocchio, stimolando l'attività biliare, è usato anche contro la dispepsia; inoltre è un diuretico. L'anice potenzia l'azione del finocchio,  inibisce il processo fermentativo a livello intestinale, riduce la flatulenza e la nausea.

Cumino

Cumino (Cuminum cyminum) vanta proprietà carminative e digestive: per questo motivo è un ottimo rimedio naturale contro crampi addominali e gonfiori legati al meteorismo. Si consiglia una tisana a base di cumino a fine pasto per favorire la corretta digestione; per queste sue proprietà si configura simile al finocchio e all'anice.

Melissa

Melissa (Melissa officinale) anche la melissa vanta proprietà carminative, riuscendo i diminuire i gas intestinali formati. La melissa è ricordata anche per le sue capacità antispasmodiche e calmanti: per questa sua potenzialità è inserita in molte formulazioni per indurre il sonno. Considerando poi che il meteorismo, come abbiamo analizzato, è causato anche da stress ed ansia, la melissa è sicuramente una droga molto utile per rilassare i tessuti, di conseguenza ostacolare il gonfiore addominale.

Mirto

Mirto (Myrtus communis) il mirtolo è un principio attivo del mirto, ricavato dal suo olio essenziale, che vanta proprietà digestive, stomachiche, antinfiammatorie  e carminative. Inoltre, esplica anche proprietà antifermentative, ostacolando la fermentazione gastrica che causerebbe la sensazione di gonfiore.

Camomilla

Camomilla (Matricaria recutita) ha potenzialità carminative, essendo in grado di togliere l'aria dallo stomaco e dall'intestino, diminuisce i dolori addominali ed i crampi. Ha proprietà antispasmodiche, antinfiammatorie, spasmolitiche e antibatteriche, attività utili ad alleggerire i disturbi derivati dal meteorismo.

 

L'utilizzo del carbone e di piante ad azione carminativa dovrebbe essere associato ad una dieta equilibrata: sarebbe infatti inutile e sbagliato utilizzare il carbone vegetale e tisane a base di finocchio se si segue una dieta ricca di cibi che favoriscono il meteorismo, quali per esempio fagioli, latte, cioccolato, cavoli e melanzane (vedi alimenti e flatulenza). Inoltre, è preferibile l'assunzione di molta acqua, che sicuramente riesce ad alleggerire la fastidiosa sensazione di gonfiore determinata dal meteorismo.

Fibrillazione atriale

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Cos'è?

La fibrillazione atriale e’ un’aritmia cardiaca caratterizzata da una completa irregolarita’ dell’attivazione elettrica degli atri, due delle quattro camere cardiache. In presenza di tale anomalia, le normali contrazioni atriali vengono sostituite da movimenti caotici, completamente inefficaci ai fini della propulsione del sangue. Inoltre il battito cardiaco diviene completamente irregolare. La fibrillazione atriale e’ la piu’ comune fra le aritmie cardiache, con una prevalenza dello 0.5% nella popolazione adulta.

La fibrillazione atriale puo’ essere cronica, ovvero continua, persistente oppure parossistica, con episodi di durata variabile da pochi secondi ad alcune ore o giorni. Essa e’ causa di un significativo aumento del rischio di complicazioni cardiovascolari e di una riduzione della sopravvivenza a distanza. Provoca inoltre una riduzione della tolleranza agli sforzi, causata da un’efficienza subottimale della contrazione del cuore, con sintomi quali palpitazioni, affaticamento e mancanza di fiato. Infine, il ristagno di sangue nelle camere atriali “paralizzate” dall’aritmia, favorisce la formazione di coaguli all’interno del cuore ed il rischio di fenomeni embolici come l’ictus cerebrale. Per questo motivo i pazienti con fibrillazione atriale vengono solitamente trattati con farmaci anticoagulanti.

Pollinosi

Cos'è?

Più che una singola malattia, la pollinosi andrebbe considerata come un gruppo di patologie che possono manifestarsi in persone allergiche quando queste vengono a contatto con il polline di diversi tipi di pianta. Principalmente si hanno manifestazioni a carico dell'apparato respiratorio, quali rinite su base allergica, tosse, fino all'insorgere di crisi di tipo asmatico; spesso questi disturbi vengono accompagnati da altri sintomi a carico degli occhi, con prurito e lacrimazione profusa (a volte irritante). Più raramente si verificano manifestazioni a carico della pelle o altri organi interni.
I pollini, essenziali per la fecondazione e la riproduzione nel mondo vegetale, vengono trasportati dall'aria e, a seconda delle dimensioni delle loro particelle, possono diffondersi nell'ambiente in modo più o meno ampio. Nel caso degli alberi (soprattutto Cipressi, Olmi , Querce, Betulle, Pioppi e Aceri) si assiste a una stagionalità piuttosto costante nel verificarsi delle forme allergiche (stagionalità legata al periodo di fioritura che può avere una lunghezza variabile dalle due alle otto settimane, a seconda del tipo di pianta).
Anche molte piante erbacee (Graminacee e numerosissime altre erbe da fieno) sono responsabili di pollinosi, e in questo caso la diffusione dei pollini è generalmente più ampia a causa della minor dimensione delle particelle che possono essere così trasportate più facilmente dal vento.
Altre piante, responsabili di pollinosi, appartengono alle famiglie delle Composite o delle Orticacee; tra queste ultime la Parietaria risulta essere responsabile di numerosissime forme allergiche. La fioritura di questa pianta ( molto diffusa in tutta Italia, soprattutto al centro-sud ma anche in diverse aree della Pianura Padana) solitamente avviene a partire da luglio fino a ottobre inoltrato,ma condizioni climatiche particolarmente favorevoli possono prolungare tale periodo anche fino a una durata di 7-8 mesi. Si vengono in questo modo ad avere manifestazioni allergiche che, più che di stagionalità, assumono carattere di cronicità.

Diagnosi e cura
La cura di questi disturbi, sempre rigorosamente di competenza medica, può essere affrontata o con l'uso di farmaci ad azione sintomatica (antistaminici o, in caso di manifestazioni più accentuate, anche cortisonici) oppure sfruttando l'azione preventiva di medicinali a base di cromoglicato di sodio. In alcuni casi (ma con probabilità di successo fortemente legate a fattori quale l'età del soggetto o il tipo di allergene responsabile del disturbo) si procede a cicli di desensibilizzazione mediante inoculazione sottocute dell'allergene individuato come fattore scatenante.
Da notare, infine, che in alcuni cibi sono presenti gli stessi allergeni dei pollini, per cui possono verificarsi "allergie crociate". I soggetti allergici alle Graminacee possono avere reazione allergica nei confronti di pomodori, kiwi, angurie, agrumi, meloni; chi è allergico alle Urticacee deve evitare o limitare il consumo di meloni, ortica, gelso, basilico, ciliegie; coloro che sono allergici alle Composite possono avere allergia nei confronti di sedano, finocchi, carote, tarassaco, camomilla, cicoria, margarina, olio di girasole, pepe verde, miele; infine gli allergici alle Betullacee devono evitare albicocche, prugne, ciliegie, nespole, pere, mele, pesche, fragole, frutta secca, kiwi, prezzemolo, carote, finocchi e sedano.

Colesterolo

Cos'é?

E' un grasso che svolge diverse funzioni importanti nell'organismo umano. Il colesterolo infatti è coinvolto nella sintesi di componenti indispensabili nel processo di digestione. Il colesterolo inoltre partecipa alla produzione di Vitamina D, utile per la salute delle ossa, favorisce la "costruzione" della parete delle cellule, in particolare del sistema nervoso e consente la formazione di ormoni come il testosterone e gli estrogeni.

La maggior parte del colesterolo presente nell'organismo viene prodotto dal fegato, mentre il resto è introdotto con gli alimenti. Entrambi, tuttavia, si ritrovano nell'intestino. Il colesterolo alimentare, una volta assimilato, viene trasportato attraverso il sangue dall'intestino al fegato. Da qui, insieme alla maggior parte del colesterolo prodotto dal fegato stesso, ritorna nell'intestino attraverso la bile, la cui funzione è rendere le sostanze contenute negli alimenti meglio assimilabili dall'intestino. Questo "viaggio" del colesterolo si può ripetere più volte, tanto che si parla di "ricircolo" del colesterolo stesso.

Le due facce del colesterolo

Si sente parlare spesso di colesterolo buono e colesterolo cattivo. In realtà il colesterolo è unico ma si comporta in modo diverso a seconda di chi lo accompagna nel suo viaggio nel sangue. Come l'olio non si scioglie nell'acqua, così il colesterolo, essendo un grasso, non è capace di circolare nel sangue se non viene accompagnato da proteine che lo rendono idrosolubile. Vi sono due tipi principali di lipoproteine: LDL e HDL. Le prime hanno un'azione negativa perché facilitano la permanenza del colesterolo all'interno delle arterie, favorendo la formazione di placche aterosclerotiche. Le HDL non lasciano il colesterolo "circolare" nelle arterie, ma lo trasportano verso il fegato dove viene metabolizzato.

La quantità di colesterolo "cattivo" presente nel sangue non dovrebbe superare i 200 mg per 100 ml. L’elevato livello di colesterolo è motivo di grande preoccupazione clinica, perché l’accumulo di questo lipide nelle arterie ne provoca il progressivo ispessimento, facendone perdere elasticità e tono. A livello cardiaco aumentano notevolmente i rischi di infarto e angina. Nel sistema nervoso centrale si possono avere ictus.

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Trigliceridi

Cosa sono?

I trigliceridi (noti anche come triacilgliceroli) sono gli esteri (cioè i prodotti di una reazione fra un alcol e un acido) del glicerolo (comunemente, glicerina) e di acidi grassi a catena lunga; a seconda del numero di molecole con le quali la glicerina si esterifica, si ha la formazione di monogliceridi, digliceridi e, appunto, trigliceridi. I trigliceridi rappresentano la forma più concentrata di energia che viene immagazzinata nel tessuto adiposo per il successivo utilizzo. Sono insolubili in acqua e la loro sintesi avviene nell'intestino, nel fegato, nel tessuto adiposo, nei reni, nelle ghiandole mammarie e nei muscoli. I lipidi che vengono assunti tramite il regime alimentare sono costituiti, come detto, principalmente da trigliceridi; un minor contributo deriva da fosfolipidi e colesterolo; dopo la loro assunzione avviene la loro demolizione e il successivo assorbimento a livello di intestino tenue (nel tratto noto come digiuno) con l'aiuto di pancreas (attraverso l'enzima lipasi) e fegato (grazie ai sali biliari). Dopo che i lipidi sono stati assunti dall'organismo possono accumularsi a livello di tessuto adiposo ed essere mobilizzati e inviati ai muscoli nel caso via sia una richiesta energetica; nei muscoli essi vengono ossidati e ridotti ad anidride carbonica e acqua.
Nell'uomo i trigliceridi possono derivare non solo dall'assunzione dei grassi presenti nel proprio regime alimentare, ma anche da un processo di sintesi che parte dai carboidrati. In un regime ipercalorico, nel fegato, a partire dai grassi e dai carboidrati in eccesso, si ha una sintesi di nuovi trigliceridi; questi vengono in seguito trasportati nel flusso ematico verso i tessuti per mezzo delle lipoproteine a bassissima densità (le cosiddette VLDL, Very Low Density Lipoprotein); ciò spiega perché è possibile ingrassare anche se si segue un regime alimentare a basso tenore di lipidi e anche perché i regimi alimentari ad alto tenore di carboidrati sono molto spesso correlati a un aumento del livello dei trigliceridi nel sangue.
L'ingresso dei trigliceridi nelle cellule è facilitato dalla presenza di insulina; ciò spiega perché i soggetti affetti da diabete hanno spesso problemi di dislipidemia. 

Rischio cardiovascolare

Quando i valori dei trigliceridi nel sangue superano il range di normalità vengono considerati un fattore di rischio per incidenti di tipo cardiovascolare (angina, aterosclerosi, infarto, ictus ecc.). 
Valori di trigliceridi fra 151 e 199  mg/dl sono considerati leggermente alti e il rischio e il rischio in questo caso è lieve; valori compresi fra 200 e 500 mg/dl sono considerati alti e conseguentemente vi è un discreto aumento del rischio; oltre i 500 mg/dl il rischio di incidente cardiovascolare inizia a farsi elevato. 

Glicemia

Cos'è?

La glicemia può essere definita banalmente come la concentrazione di glucosio nel sangue. È di fondamentale importanza che la glicemia rimanga entro i limiti dell'intervallo di normalità (65-110 mg/dl) ed è sicuramente auspicabile mantenere i livelli glicemici verso la parte bassa di detto intervallo perché avere una glicemia normale, ma tendente a valori medio-alti aumenta il rischio di molte patologie, non ultime i tumori. 

La glicemia è regolata da un complesso di meccanismi neurormonali e metabolici che ne impediscono forti oscillazioni in difetto o in eccesso. Aumenta nei soggetti diabetici e si abbassa nel digiuno prolungato. Se l'apporto di glucosio con le scorte è insufficiente, la glicemia si abbassa (ipoglicemia) e inizia a manifestarsi la sofferenza cerebrale con capogiri e senso di spossatezza. Se il glucosio scarseggia e non c'è sufficiente apporto di carboidrati, il fegato sintetizza glucosio da proteine e da lipidi con un processo denominato gluconeogenesi. Tale processo provoca però un eccesso di urea (con sovraccarico renale) e un accumulo di corpi chetonici (scorie provenienti dall'utilizzo degli acidi grassi) con conseguente acidosi.
La variazione della glicemia susseguente all'assunzione di carboidrati dipende dal loro indice glicemico, cioè dalla velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all'assunzione di 50 g del carboidrato sotto esame. L'indice è espresso in termini percentuali, rapportandolo alla velocità di aumento con la stessa quantità di glucosio (indice pari a 100): un indice glicemico di 50 vuol dire che l'alimento innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio. 

INSULINA e GLUCAGONE

Il meccanismo che regola il livello del glucosio nel sangue è controllato da due ormoni antagonisti secreti dal pancreas: l'insulina e il glucagone. L'azione dell'insulina è ipoglicemizzante (il livello di glicemia si abbassa) mentre quella del glucagone è, al contrario, iperglicemizzante (il livello di glicemia si alza). L'immagine (dal sito www.cardiologiapertutti.org) mostra il meccanismo di regolazione del livello ematico di glucosio.
L'insulina viene prodotta dalle cellule beta del pancreas; la sua secrezione avviene nel momento in cui c'è un aumento della concentrazione ematica di glucosio al fine di riequilibrare la situazione; nel momento in cui la glicemia si abbassa si riduce anche la produzione dell'ormone. L'insulina agisce sulle cellule muscolari, sugli adipociti e sugli eritrociti che, assumendo glucosio dal sangue, provocano una diminuzione del livello glicemico.
Il picco insulinico è tanto maggiore quanto più alto è il carico glicemico dei carboidrati assunti.
Il glucagone viene prodotto dalle cellule alfa del pancreas; la sua secrezione avviene nel momento in cui la concentrazione ematica di glucosio si abbassa. Il principale organo-bersaglio del glucagone è il fegato; il glucagone agisce facendo rilasciare il glucosio immagazzinato nel fegato innalzando conseguentemente la glicemia. Un'altra importante azione del glucagone è quella di indurre le cellule epatiche e quelle muscolari a ottenere il glucosio dalle proteine.

Analisi delle urine

L'urina è il liquido prodotto dai reni che filtrano il sangue per depurarlo dalle scorie prodotte dal metabolismo. Tramite l'urina quindi si eliminano dall'organismo i prodotti di scarto e l'eccesso di acqua o di sostanze che vi sono disciolte.Per l'esame delle urine, il cosiddetto "standard" che comprende sia l'esame chimico fisico che l'esame microscopico del sedimento, è sufficiente, in genere, un campione di 10 millilitri.Le donne devono stare attente a non sottoporsi a questo esame nel periodo mestruale.L'urina va conservata in recipienti di vetro o di plastica sterilizzati, che si possono acquistare in farmacia, e va mantenuta al fresco, fino al momento dell'esame.Il campo di indagine offerto dall'analisi delle urine è vastissimo e complesso. Molte delle analisi portano a diagnosticare le disfunzioni dei reni, ma le indagini possono mettere in risalto anche tanti altri problemi (es. diabete, infezioni, epatopatie, ecc.).

Raccolta delle urine

Esame delle urine completo: è preferibile utilizzare gli appositi contenitori monouso a bocca larga forniti dal Laboratorio. Raccogliere un campione delle prime urine del mattino, eliminando il primo getto.Per eseguire correttamente l'esame è necessario raccogliere almeno 10 ml di urine. Consegnare il campione in laboratorio  tra le 7,30 e le 9 del mattino.

Esame di citologia urinaria: E’ necessario utilizzare gli appositi contenitori sterili a bocca larga forniti gratuitamente dal laboratorio e contenenti idoneo conservante.

Raccogliere un campione della SECONDA urina del mattino, secondo il seguente procedimento:

1)     lavare ed asciugare accuratamente gli organi genitali;

2)     scartare il primo getto di urina, per pulire l’ultimo tratto delle vie urinarie

3)     raccogliere l’urina seguente facendo attenzione a non toccare il contenitore con le mani nelle parti interne;

4)     scartare l’ultimo getto di urina.

Questa procedura va ripetuta per tre giorni consecutivi, conservando i contenitori in frigorifero.  I tre campioni andranno consegnati al laboratorio  il terzo giorno (fra le 7,30  e le 9.00 del mattino).

 Esame urine delle 24 ore: Utilizzare gli appositi contenitori forniti dal laboratorio

Modalità di raccolta:

Scartare la prima urina del mattino.

Raccogliere nel contenitore tutte le urine emesse nelle 24 ore successive, terminando con la prima urina del giorno successivo, che va raccolta nel contenitore.

Consegnare il contenitore  in laboratorio. tra le 7,30 e le 9 del mattino

Urinocoltura: E’ necessario utilizzare gli appositi contenitori sterili a bocca larga forniti gratuitamente dal laboratorio o acquistati in farmacia.

Raccogliere un campione delle prime urine del mattino, secondo il seguente procedimento:

1)         lavare accuratamente gli organi genitali;

2)         scartare il primo getto di urina, per pulire l’ultimo tratto delle vie urinarie

3)         raccogliere l’urina seguente facendo attenzione a non toccare il contenitore con le mani nelle parti interne;

Consegnare il campione in laboratorio il più presto possibile,  tra le 7,30 e le 9 del mattino.

Terapie antibiotiche e chemioterapiche possono influire sull’esito dell’esame e vanno segnalate in accettazione.

Acidi urici

Cosa sono?

L'acido urico è il prodotto terminale del metabolismo delle purine.
Le purine (adenina e guanina) sono basi azotate che costituiscono il DNA presente nel nucleo delle cellule animali e vegetali. Dato che il nostro organismo è composto da un numero estremamente elevato di cellule (50 x 1018), che vengono continuamente rinnovate, la gran parte delle purine proviene dalla sintesi endogena, mentre solo una minima percentuale deriva dagli alimenti introdotti con la dieta. L'acido urico circola nel sangue in parte libero ed in parte legato a proteine di trasporto. L'organo deputato alla sua rimozione è il rene, che ogni giorno ne elimina circa 450 mg con le urine ed altri 200 mg attraverso le secrezioni digestive. L'uricemia si verifica o per eccesso di produzione o per difficoltosa eliminazione renale di acido urico. Il dosaggio di uricemia nel sangue, si effettua a digiuno da almeno 8 - 10 ore. I valori normali oscillano da 4 a 8 mg/dl. Si definisce iperuricemico il soggetto che presenta una uricemia superiore a 7 mg/dl se uomo e a 6,5 mg/dl se donna, dopo 5 giorni di dieta ipopurinica e senza assunzione di farmaci che influiscono sull'uricemia.
Tipica malattia riferibile all'aumento del tasso uricemico è la gotta, conseguente alla precipitazione di cristalli di acido urico nelle articolazioni e nel tessuto connettivo. La bassa solubilità dell'acido urico e la sua tendenza a precipitare in forma microcristallina, è aggravata dall'iperuricemia, dal freddo e dall'acidosi. 
Per questo motivo le precipitazioni di acido urico interessano elettivamente i tessuti non vascolarizzati (cartilagini) e quelli sottoposti all'azione congiunta di acido lattico e scarsa vascolarizzazione (tendini). La precipitazione è frequente nell'acidosi urinaria (diabete mellito, dieta iperproteica, digiuno, insufficienza renale cronica) e nelle zone più esposte al freddo come i padiglioni auricolari. L'accumulo di abbondanti quantità di acido urico può dar luogo a noduli di varia grandezza, chiamati "tofi", con deformazione della parte colpita. Le sedi più frequentemente interessate sono le articolazioni, i tendini ed il lobo dell'orecchio.

Ipertensione arteriosa

Che cos'è?

L’ ipertensione arteriosa definisce l’aumento dei valori della pressione arteriosa (P.A.), cioè della pressione presente in tutti i vasi arteriosi dell’organismo. E’ una condizione estremamente diffusa che colpisce fino al 50% della popolazione adulta, con un andamento subdolo e solitamente asintomatico all’inizio, ma che porta inesorabilmente ad uno stato di malattia. L’ipertensione arteriosa é un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e per l’ictus, specialmente se concomitante ad elevati valori di colesterolo, di glicemia-diabete e se il paziente è fumatore. L’ipertensione arteriosa può essere presente anche senza provocare alcun sintomo, questo ne rende ancora più insidioso il decorso e può provocare incidenti cardiovascolari acuti e senza preavviso. In Italia l’ictus e le malattie cardivascolari sono attualmente tra le prime cause di morte.

Consigli utili:

Qui di seguito elenchiamo alcune semplici regole che abbinate alla terapia vi faciliteranno il controllo della pressione arteriosa:
se siete sovrappeso cercate di contenere la dieta per dimagrire
se fumate cercate di ridurre o di smettere di fumare
aumentate l’attività fisica, leggera ma prolungata (ad esempio fate passeggiate di almeno 30 – 45 minuti al giorno)
se bevete vino o alcoolici riducetene l’assunzione
riducete drasticamente il sale dalla vostra dieta e cercate di evitare cibi “salati” in natura, per renderli appetibili utilizzate piuttosto il sale dietetico, si trova facilmente in farmacia e nei negozi di prodotti dietetici. Infine non scoraggiatevi se i farmaci prescritti si dimostrano poco efficaci o se vi provocano effetti collaterali indesiderati: i mezzi a disposizione oggi sono molti e le terapie si possono variare, abbinare, integrare fino a raggiungere il risultato ottimale con la migliore tollerabilità.

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Artrosi & Artrite

I dolori articolari non sono tutti uguali. Spesso si tende a confondere l'artrite con l'artrosi. Ma queste due problematiche degenerative o patologie vere e proprie hanno caratteristiche distinguibili. Anche l'origine, le tipologie, le cure e la prevenzione sono specifiche per artrite e artrosi. Sembrerebbe solo un problema di lessico, ma la differenza tra artrite e artrosi esiste. Solo una cosa è certa, ciò che accomuna i due fenomeni sono i fenomeni dolorosi e infiammatori spesso invalidanti. Cerchiamo di capirne le differenza analizzando le caratteristiche, l'origine e i possibili rimedi. L’artrosi è una forma degenerativa cronica, spesso dolorosa mentre l'artrite è un fenomeno infiammatorio che comporta sensazione di calore e gonfiore. L'artrosi è un problema che potremmo tutti prima o poi affrontare. E non è detto che sia legato all'età. In generale è è la malattia cronica più diffusa al mondo e maggiormente nella popolazione femminile, con percentuali che lievitano dai 65 anni in su. Probabilmente è l'esito naturale dell'usura sulle articolazioni provocate dal passare del tempo. E in alcuni casi si può parlare di vera patologia. Primo passo è saper distinguere tra artrosi primaria e secondaria, poichè la primaria è quella al femminile negli over 65 e non è legata a fattori esterni, mentre la secondaria è legata a fenomeni esterni, traumatici, che possono degenerare, quindi non legata a caratteristiche di età. L'artrosi colpisce le articolazioni, qualsiasi. Ma preferisce soprattutto le articolazioni di ginocchia, anche e della colonna vertebrale, proprio perchè sono le più usate. Più che di artrite si potrebbe meglio parlare di artriti In questo universo rientrano più di cento condizioni diverse. Tutte aventi in comune l'infiammazione articolare e una la perdita di funzionalità. Le artriti fanno parte della più ampia categoria delle malattie reumatiche e le più importanti sono le osteoartriti, Osteoartrite delle cartilagini, l'artrite reumatoide, anche giovanile dei tessuti epidermici, polmonari, oculari e i vasi sanguigni. La gotta. La Fibromialgia e il lupus sistemico eritematoso, una malattia autoimmune. Oltre a forme che colpiscono i tessuti e organi interni.

Dermatite atopica

Cos'è?

L'atopia è una predisposizione genetica per una risposta esagerata cutanea o mucosa a una varietà di stimoli ambientali. I fenomeni principali di atopia sono l'Asma, l'Atopia,la Rinocongiuntivite Atopica, la Dermatite Atopica.La Dermatite Atopica (DA) è un disordine cutaneo di tipo cronico con riacutizzazioni che inizia nel periodo neonatale o nell'infanzia e che può perdurare nell'età adulta. Pertanto le fasi della DA si dividono in Neonatale, Infantile e dell'Adulto.

Cause:

Fattori Ereditari-Genetici : la DA si basa su fattori genetici anche se un gran numenro di fattori esterni può modificare la sua espressione. Nel 60% dei casi di DA si può dimostrare una storia familiare per Atopia, in altre parole se un genitore ha una diatesi atopica vi sono il 60% delle possibilità che i figli siano atopici. Se entrambi i genitori sono atopici la percentuale aumenta fino all'80%. Attualmente in una famiglia non atopica , le probabilità di avere un figlio atopico è di circa il 20%.
Fattori Immunologici : i fattori immunologici presi in considerazione nell'eziologia della DA sono : l'allergia agli alimenti, gli allergeni e irritanti da contatto, gli aeroallergeni, le anomalie dell'immunoregolazione e la microbiologia cutanea. Poiché la DA ha una fluttuazione stagionale si può ritenere che fattori climatici influenzino positivamente o negativamente la DA. In generale l'estate e il sole ha un'azione preventiva e l'ambiente freddo umido un'azione peggiorativa sulla DA. Tuttavia la sudorazione eccessiva può esacerbare la malattia.

Consigli utili:

Lavarsi con detergenti a pH 5,5 e applicare sempre creme lipidizzanti ed emollienti, indossare indumenti di cotone o di lino liscio, evitando oltre la lana anche le fibre sintetiche e quelle ruvide. Evitare il contatto con sostanze chimiche sensibilizzanti ,detersivi ,prodotti per la pulizia solventi soprattutto se la DA è localizzata alle mani, divani e letti con cuscini di piume, tappeti, lavoro fisico eccessivo ,ambienti surriscaldati, esposizione al freddo e brusche variazioni di temperatura, cibi irritanti come pomodoro,parmigiano,agrumi che possono provocare un'irritazione della zona intorno alla bocca. I soggiorni ad alta quota eserciterebbero un influsso positivo sulla sintomatologia, (gli acari infatti non sopravvivono oltre i 1200 metri) .Ma l’ambiente marino sano nell’80% dei casi può giovare ai pazienti. Utile anche il training autogeno, perché lo stress può riacutizzare la malattia.

"Mal di testa": cefalee ed emicrania

La differenza tra emicrania e mal di testa risiede nel fatto che l'emicrania colpisce un lato del capo, mentre il mal di testa comune si manifesta generalizzato a tutta la testa. Nella letteratura medica la cefalea viene suddivisa nel modo seguente:

 

Mal di testa da tensione o cefalea muscolo-tensiva: è la più comune e riguarda circa il 70% delle cefalee.

Il restante 30% si divide in:

Emicrania comune (senza aura): circa 85% dei casi di emicrania. È caratterizzata da nausea con o senza vomito. L'attacco può essere violento e pulsante oppure sordo e continuo come "un peso di molti chili sulla testa", il dolore risulta accentuato da movimenti, tosse, starnuti, sforzi, esposizione alla luce. La persona sofferente preferisce di solito stare sdraiata, al buio e lontana dai rumori. La durata degli episodi varia da qualche ora fino a tre giorni, non si manifesta in genere con segni premonitori e si presenta su un lato del cranio, per irradiarsi poi velocemente al resto della testa.

Emicrania classica (con aura): circa 14% dei casi di emicrania. Si differenzia dall'emicrania comune per alcuni disturbi premonitori come: ipersensibilità alla luce e/o al rumore, oscuramento del campo visivo, percezione di linee scintillanti o mosche volanti. La durata degli attacchi varia dalle 4 alle 24 ore.

Cefalea a grappolo o cluster (nevralgia emicranica): circa 1% dei casi di cefalea. È caratterizzata da estrema intensità, è molto invalidante, si presenta improvvisamente, solitamente localizzata intorno ad un occhio o alla tempia, dura in genere pochi minuti e nelle 24 ore può insorgere anche 10 o più volte. Per questo motivo viene definita cefalea a grappolo e colpisce in maggiore misura il sesso maschile. Il dolore della cefalea a grappolo può essere così intenso, che la persona colpita vorrebbe battere la testa contro il muro o perfino suicidarsi.
 

Terapia sintomatica

Rapidità di azione, efficacia sui sintomi principali, semplicità e flessibilità del dosaggio oltre a una buona tollerabilità, rappresentano le caratteristiche ideali per un farmaco antiemicranico.
Le principali categorie di farmaci disponibili per il trattamento dell’emicrania sono rappresentate dagli agenti serotoninergici (triptani), dagli ergot-derivati, dagli antiinfiammatori non steroidei (FANS) e dagli antiemetici. In generale si fa riferimento a farmaci cosiddetti “specifici” (come i triptani) che agiscono selettivamente sul dolore emicranico e a farmaci “aspecifici” (analgesici, FANS, antiemetici) che agiscono sul dolore di altra origine. 

Chiedi consiglio al tuo farmacista.

Osteoporosi

Cos'è?

L'osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata da una ridotta massa ossea e dal deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità e predisposizione alle fratture, soprattutto dell'anca, della colonna vertebrale e del polso.

L'osso è un tessuto vivo e complesso che si modifica continuamente e continuamente si ripara. Questo processo è denominato "rimodellamento osseo". Questa continua attività di trasformazione e rimodellamento ha lo scopo di rendere le ossa più idonee alle esigenze funzionali delle varie età. Vi sono infatti processi di edificazione di nuove cellule ossee nelle zone dell'osso che vanno irrobustite e processi di demolizione nelle zone che possono essere alleggerite.

Fattori di rischio: ridotto picco di massa ossea; - sesso femminile; - storia familiare di osteoporosi; - magrezza; - età avanzata; - menopausa precoce o indotta chirurgicamente; periodi di amenorrea; - anoressia nervosa; - scarsa assunzione di calcio con la dieta; - uso di farmaci, quali i cortisonici e gli anticonvulsivanti; - bassi livelli di testosterone nei maschi; - stile di vita sedentario; - fumo di sigaretta, abuso di alcool.

Diagnosi e cura:

L'OMS definisce l'osteoporosi utilizzando il parametro T-score. Questo parametro rappresenta la densità ossea del paziente espressa come numero di deviazioni standard (DS) al di sopra o al di sotto rispetto alla densità ossea di un soggetto giovane adulto. Per giovane adulto ci si riferisce ad un soggetto di circa 35 anni di un determinato gruppo etnico, con un normale stato di salute ed una normale attività fisica e che ha una certa densità ossea cioè la quantità minerale contenuta nell'osso. La diminuzione del valore al di sotto di questo parametro ci consente di sapere se siamo in condizioni di osteopenia (modesta riduzione del contenuto minerale osseo) o osteoporosi franca, che può essere più o meno importante e che sottopone a rischio di fratture ossee al minimo trauma. La tecnica che consente la diagnosi di osteoporosi è la densitometria ossea. La metodica più utilizzata è la densitometria a raggi X a doppia energia (DEXA) che consente la valutazione della quantità di osso sia trabecolare, che corticale. La DEXA permette la misurazione del contenuto minerale osseo a livello del rachide lombare, del femore prossimale e dell'intero scheletro. La densità ossea viene espressa rispetto al picco di massa ossea rispetto al soggetto di controllo. Il rischio di frattura a qualsiasi età è determinato principalmente dalla massa scheletrica. Il target preferito dall'osteoporosi è rappresentato dalle donne eccessivamente magre e nel periodo post-menopausale; a detta di ciò, è comprensibile come l'analisi della densità ossea e il monitoraggio dell'altezza, soprattutto per le donne che rientrano in questa categoria,  sia utile per la diagnosi precoce. La prevenzione, di fatto, è fondamentale: un apporto adeguato di calcio con la dieta (od un'eventuale supplementazione con integratori di calcio), associato ad un modico esercizio fisico frequente e costante, è indispensabile per prevenire la malattia. Il trattamento farmacologico è possibile sia come profilassi dell'osteoporosi, sia come cura vera e propria: consulta il tuo medico per una corretta diagnosi e per la cura farmacologica più adatta alle tue esigenze.

Calcio: è il minerale più abbondante nel corpo umano. Legandosi al fosforo forma cristalli di idrossiapatite, che costituisce la struttura cristallina delle ossa e dei denti. Circa il 99% del calcio corporeo è presente in queste due strutture per un totale di circa 1200 grammi (il rapporto calcio-fosforo nelle ossa è di 2,5:1). Il rimanente 1% si trova nella forma ionizzata e svolge un ruolo importante nella trasmissione degli impulsi nervosi, nell'attivazione enzimatica e nella coagulazione del sangue. Il calcio ha inoltre un ruolo fondamentale nei processi di contrazione della muscolatura liscia, scheletrica e del miocardio (cuore). Il calcio è contenuto soprattutto nei latticini, in alcuni crostacei e pesci (aragoste, sardine e salmone), nei legumi, nei broccoli, nelle uova e nelle mandorle: Il Calcio introdotto con gli alimenti viene assorbito nell'intestino tenue. Tale processo è favorito dalla vitamina D, dall'acidità gastrica, dal lattosio e da dall'acido ascorbico. E' sfavorito invece dalla carenza di vitamina D e da troppe fibre vegetali introdotte con la dieta. Il fabbisogno giornaliero, per l'adulto, è stimabile intorno agli 800-1000 mg.

Menopausa

Cos'è?

Il termine menopausa deriva dal greco "μήν" (gen. μηνÏ¿ς), mese, e "πα὿σις",cessazione: la menopausa è infatti l'evento fisiologico che nella donna corrisponde al termine del ciclo mestruale e dell'età fertile. Nella menopausa termina l'attività ovarica: le ovaie non producono più follicoli ed estrogeni (ormoni femminili principali). Nell'uso comune del termine invece si indica soltanto una notevole diminuzione dei fluidi, coincidente con il periodo di climaterio femminile. Tale stato provoca una serie di mutamenti nella donna che riguardano gli aspetti trofici, metabolici, sessuali e psicologici, con una serie di manifestazioni (sintomi) che variano a seconda della persona e possono essere più o meno marcati, ma non tutti sono collegabili alla menopausa in sé, poiché influiscono altri fattori come il contesto familiare e sociale.

Una soluzione naturale:

Il fine del trattamento naturale dei disturbi causati dalla menopausa è il ristabilimento dell'equilibrio ormonale, quindi è auspicabile la somministrazione combinata di fitoestrogeni e fitoprogestinici, eventualmente associata ad altri principi vegetali funzionali sinergici.
Una formulazione che contenga fitoestrogeni e fitoprogestinici, cioè quegli ormoni vegetali molto simili a quelli che vengono a mancare in menopausa e che non presentano le controindicazioni degli ormoni chimici di sintesi, può essere infatti di valido aiuto per contrastare i disturbi della menopausa stessa. Il trattamento naturale della menopausa è anche molto flessibile, in quanto può essere modulato, sospeso, affiancato ad altre integrazioni con oligoelementi e vitamine, senza incorrere nei problemi causati dal blocco degli ormoni. Un grande vantaggio, lo ribadiamo, è l'assenza di effetti collaterali che è la conseguenza di una naturale integrazione alimentare.

Di fatto è ormai scientificamente e universalmente accettato che i prodotti naturali vengono meglio tollerati dall'organismo e consentono la personalizzazione dell'integrazione alimentare e dello schema di trattamento. Le piante ricche di ormoni vegetali maggiormente utilizzate per il trattamento fitoterapico della menopausa sono principalmente la Soia, la Cimicifuga, il Trifoglio, ricche di fitoestrogeni, e la Dioscorea o Igname selvatico, ricco di fitoprogestinici.
 

Chiedi consiglio al tuo farmacista.

Ansia

Che cos'è?

L’ansia viene definita come “Anticipazione apprensiva di un pericolo o di un evento negativo futuro”.
Secondo questa definizione quindi l’ansia è quello che succede alla nostra persona quando ci aspettiamo che accada qualcosa di potenzialmente negativo: il nostro organismo si prepara a tale evento.

Sintomi

Quello che ci succede è suddivisibile in 3 categorie:                                                                                         

Quello che sento: si tratta dei processi fisiologici che l’organismo umano mette in atto in maniera automatica. Quelli più noti sono i seguenti:

-  Aumento del ritmo respiratorio (che porta a un senso di affanno e di soffocamento)

-  Aumento del ritmo cardiaco (il “cardiopalma”, ossia la tachicardia, il sentirsi il cuore in gola)

-  Aumento della temperatura corporea (si sente caldo, si suda freddo)

-  Aumento della sudorazione (le mani diventano sudaticce, si sente di sudare)

Esistono altre risposte fisiologiche meno universalmente comuni ma frequenti quali ad esempio l’attivazione circolatoria del volto che porta a rossore e il tremore (alle mani, della voce…)

Quello che penso: le risposte fisiologiche viste nel paragrafo precedente sono sempre accompagnate da una catena di pensieri. Solo parte di tali pensieri è controllata consapevolmente, il resto compare in modo automatico nella nostra mente. Al contrario dei processi fisiologici, che è stato possibile studiare  in generale per tutti gli individui, i processi cognitivi sono specifici di ogni persona. Quello che pensiamo in una situazione di ansia dipende da una molteplicità di fattori tra cui la nostra storia personale e familiare, l’ambiente di vita in cui viviamo, quello che per noi è importante nella vita, le preoccupazioni che abbiamo giorno dopo giorno, eventuali pensieri ricorrenti che sbucano nella nostra testa anche in altre situazioni. Quello che pensiamo è molto importante poiché a il  tipo di pensiero che facciamo ci porta ad affrontare le situazioni in un modo piuttosto che nel loro contrario. La persona dell’esempio di prima difficilmente si metterà subito al lavoro per risolvere il problema, tutta presa com’è dalle sue preoccupazioni. Un pensiero meno catastrofico la potrebbe certamente aiutare a mettere in atto comportamenti più costruttivi.

Quello che faccio: di fronte a un pericolo, non sono molte le alternative. Possiamo affrontarlo o possiamo fuggire. Gli inglesi parlano di risposta fight or flight (combatti o scappa). In entrambi i casi, sia che decidiamo di affrontare quello che temiamo sia che si opti per la fuga (tecnicamente si parla di risposta di fuga o evitamento) l’ansia diminuisce. Ma che cosa significa in pratica evitare gli stimoli ansiogeni? Evitare le cose che ci procurano ansia è qualcosa che quotidianamente accade molto spesso, più di quanto di creda. Evitamenti frequenti sono ad esempio: rimandare una telefonata scomoda, procrastinare impegni fastidiosi,  allontanarsi non appena si intravede un animale temuto (es. topi, ragni, cani), cercare di non pensare a un problema che invece andrebbe risolto, ecc.

Per una diagnosi corretta consulta il tuo medico e rivolgiti eventualmente ad uno specialista per la terapia farmacologica più adatta a te.

Insonnia

Che cos'è?

Si può definire 'insonne' una persona che ha difficoltà ad addormentarsi o che non riesce a dormire quanto, e soprattutto come, vorrebbe. L'insonnia infatti si manifesta non soltanto come difficoltà ad addormentarsi in presenza di un bisogno fisiologico di sonno; molto spesso una persona si autodefìnisce 'insonne' quando percepisce il suo sonno come insoddisfacente, con una conseguente spossatezza costante accompagnata da stati di ansietà. Il termine insonnia indica un fenomeno soggettivo, perché ogni persona ne ha una percezione individuale. Alcuni trovano naturale dormire 3 o 4 ore per notte: sono i cosiddetti dormitori brevi, che dormono meno del 75% delle ore di sonno necessarie ai loro coetanei. Per i dormitori lunghi invece, 9 ore di sonno sono il minimo necessario per sentirsi in forma. Secondo il profilo psicologico tracciato da un ipnologo americano, i dormitori brevi sono persone efficienti, ambiziose, conformiste, sicure di sé e poco apprensive. I dormitori lunghi sono meno soddisfatti di sé, più critici, apprensivi, leggermente depressi, ma spesso dotati di creatività e senso artistico. In linea teorica, l’ottimale si colloca, per un adulto, attorno alle 7-8 ore di sonno. L'insonnia è transitoria quando si prolunga per pochi giorni, mentre è definita cronica quando perdura per settimane, mesi o anni. 

Insonnia transitoria: non riuscire a dormire di tanto in tanto è un fenomeno naturale, e non dovrebbe suscitare preoccupazione ma è fondamentale individuare le ragioni per le quali si è soggetti a insonnia transitoria, in modo da poter intervenire efficacemente. Le cause più frequenti sono: la sovraeccitazione da stress, i fattori ambientali (es. rumori), la sindrome del jet-lag (fuso orario), i turni di lavoro.

Insonnia cronica: II disturbo cronico o persistente del sonno è, nella maggior parte dei casi, legato a un'alterazione dell’orologio biologico interno. L'insonnia persistente viene definita anche primitiva o abituale. Questa forma si osserva sovente in soggetti apparentemente sani, per i quali costituisce l'unica forma di malessere. Tuttavia è sufficiente un esame più approfondito perché si rivelino componenti ansiose o depressive. L'insonnia primitiva può presentarsi indifferentemente come insonnia da addormentamento, da risveglio precoce o intermittente, e spesso resiste ai trattamenti di tipo farmacologico.

Oltre che per la durata, le insonnie si distinguono in:
• insonnia da addormentamento ritardato: è la sindrome da sonno ritardato (DSPS, Delayed Sleep-Phase Syndromé), dovuta allo spostamento in avanti di 4-5 ore del ritmo sonno-veglia rispetto a quello buio-luce.
La DSPS s'instaura spesso negli studenti e nelle persone che non hanno rigidi orari di lavoro e possono 'godersi la notte', dormendo poi indisturbati il mattino seguente.
• insonnia da risveglio precoce: diffusa tra le persone anziane, la sindrome da sonno anticipato (ASPS, Advanced Sleep-Pbase Syndrome) è meno disturbante della simmetrica sindrome da addormentamento ritardato, perché non interferisce con le attività lavorative. I soggetti affetti da ASPS non hanno alcuna difficoltà ad addormentarsi, e spesso avvertono il bisogno di coricarsi molto presto, ma alle prime luci dell'alba si svegliano, e non riescono più a riprendere sonno.
• insonnia a intermittenza: in questo tipo di insonnia, l'addormentamento non presenta particolari difficoltà, ma il sonno è continuamente interrotto da risvegli senza causa apparente, di durata variabile da pochi minuti a un'ora. Successivamente il sonno riprende, per interrompersi poi nuovamente. Questo tipo di insonnia è causato da uno stato di sovreccitamento del sistema nervoso, che rende la persona ipersensibile agli stimoli interni ed esterni. Anche i meccanismi di difesa del sonno risultano alterati: la barriera sensoriale non è abbastanza efficiente da impedire a stimoli di poco conto di dare l'allerta.

Per una diagnosi corretta consulta il tuo medico e rivolgiti eventualmente ad uno specialista per la terapia farmacologica più adatta a te.